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Per una nuova strategia di protezione assicurativa contro le catastrofi naturali

Per una nuova strategia di protezione assicurativa contro le catastrofi naturali

Per una nuova strategia di protezione assicurativa contro le catastrofi naturali.

Riflessioni, spunti e strumenti necessari alla luce degli scenari più attuali – di Anna Fasoli, vicepresidente UEA

Non si commetta l’errore di considerarlo un tema “trito e ritrito”.

In questo momento storico, il concetto stesso di catastrofe naturale, la proiezione, l’interpretazione, e le conseguenti soluzioni approntate, rappresentano invece lo straordinario specchio di un’epoca.

Ma cominciamo con i dati, che ne sono la fotografia più credibile.

In uno studio di fine estate, pubblicato da ANIA, su “Catastrofi naturali: gli eventi del 2016 e una prima stima dell’attuale esposizione del mercato assicurativo”, il focus è stato posto dapprima sullo scenario mondiale, quindi su quello italiano.

Avendo accertato a livello generale ben 191 eventi definibili come tali, non solo è stato confermando l’andamento crescente registrato negli ultimi 50 anni, ma anche l’immane entità dei danni economici registrati: quasi 150 miliardi, principalmente derivanti da terremoti, cicloni tropicali e tempeste avvenuti in Giappone, in Cina, nel nord America e in Europa. Un ammontare che è doppio rispetto a quello del 2015. A fronte di questo, rimane invece costante il dato sulla percentuale di danni assicurati: circa 43 miliardi, ovvero il 30% del totale.

E in Italia?

L’estrazione dei dati, operata da ANIA come elaborazione di un più ampio studio Swiss Re PERILS, gira il coltello nella piaga. Perché da noi di catastrofi naturali si parla solo quando già sono accadute, così come di polizze a tutela solo quando a qualcuno viene in mente di proporle come obbligatorie, e si scatena la polemica.

Né si tratta di facezie e cito un numero per dare l’entità del problema: nella sola estate 2016, riporta ANIA, il Dipartimento della Protezione Civile ha stimato che gli eventi sismici hanno causato oltre 23,5 miliardi di euro di danni, di cui circa 12,9 si riferiscono a danni a edifici privati.

Dunque c’è da rimboccarsi le maniche.

E ce n’è perché veniamo da decenni (secoli?) di convinzione che delle cose se ne debba occupare qualcun altro, o debba intervenire un’imposizione insomma. Complice di questa mentalità passiva, il fatto che in Italia a farsi carico dei danni avvenuti è sempre stato il settore pubblico. Un carico di bilancio calcolato in media in 3 miliardi di euro.

Ma non tutto tace.

Stando al rapporto citato, sul fronte delle imprese italiane si stima che il numero di polizze attive sia di 8,2 milioni per un valore complessivo di somme assicurate pari a circa 3,142 miliardi di euro; di queste polizze oltre il 52% è relativo a polizze multirischio, il 32% a polizze incendio individuali, quasi il 15% a polizze globale fabbricati, mentre lo 0,4% è relativo a polizze che coprono unicamente il rischio terremoto, senza la copertura del rischio incendio.

La distribuzione percentuale delle somme assicurate evidenzia, invece, che oltre la metà del patrimonio abitativo assicurato è relativo a polizze globale fabbricati (essendo evidentemente le più rilevanti in termini di valore), il 30% a polizze multirischio e solo il 17% a polizze incendio individuali.

Nello specifico, quanto al settore privato, se ANIA stimava che nel 2009 fossero circa 35.000 gli edifici assicurati per eventi catastrofali (su un patrimonio complessivo di oltre 12 milioni di edifici residenziali), ovvero appena lo 0,3%, la nuova analisi stabilisce che alla fine di settembre 2016 infatti si stima che fossero oltre 400.000 le polizze con la copertura al rischio terremoto o al rischio alluvione (o ad entrambe le calamità), segnando un incremento di oltre 10 volte delle coperture, indice che, anche se in misura limitata, il mercato risulta ora più “sensibile” e attento verso questo tipo di copertura.

Elogio della “spinta gentile”

Ancora troppo poco, certo. Eppur si muove…

C’è dunque maggiore consapevolezza, l’interesse cresce, le generazioni anche si avvicendano e il rapporto con la prudenza affonda non solo in logiche razionali, ma anche in una differente percezione di sé, dei limiti, delle grandezze.

Per parlare di catastrofali in Italia, oggi, e vorrei dire di nuovi catastrofali, comincerei ad addentrarmi con decisione in quello spazio “emotional”, in quello che possiamo chiamare il lato oscuro dell’economia, che pure troppo oscuro non resta più, se ha permesso all’americano Richard Thaler, della University of Chicago, di vincere il premio Nobel 2017, grazie alla teoria  dei “nudge”.

L’espressione, che significa letteralmente “spinta gentile”, identifica il cuore pulsante dell’economia emozionale, una scienza che si concentra sullo studio del modo in cui le variabili della mente e della psiche umana incidano sulle nostre decisioni economiche, e dunque, di regola, considerate razionali per eccellenza.

In pratica, secondo quanto elaborato da Richard e Cass R. Sunstein*, si deve imparare ad incidere sul consumatore attraverso una operazione costante di micro-persuasione che stimoli ad adottare soluzioni convenienti per l’intera collettività. Un incentivo – lo chiamano “pungolo”- che induca a muoversi verso una data scelta, ma senza la natura di un ordine.

Un esempio? “Mettere frutta al livello degli occhi conta come un nudge. Proibire il cibo spazzatura no”, spiegano.

Non un vezzo, o una facezia.

Basti sapere che ben 51 nazioni hanno creato uffici statali ad hoc per rendere efficace ed effettiva questa teoria. Con risultati sorprendenti, per esempio in Gran Bretagna, e monetizzabili, in campo di coibentazione dei tetti. La Banca Mondiale se ne è avvalsa contro gli sprechi e la corruzione sanitaria in Nigeria.

Insomma, “nudge for good”, come firma oggi i suoi libri il novello premio Nobel per l’economia. E nudge per l’assicurativo sia, attraverso una serie di piccole, costanti, capillari azioni che smuovano l’interesse generalizzato.

Rimboccarsi le maniche

La domanda strategica si sposta allora sull’identificazione di una modalità adatta a utilizzare questa spinta gentile per indirizzare i comportamenti di consumatori in materia di polizze sui catastrofali.

Il punto da cui partire, evidentemente, è una “fame” di polizza che già esiste nei soggetti, ma spesso in maniera inconsapevole o “disordinata”. Ritorno qui su un tema a me caro, ovvero sulla necessità che agenti, intermediari, broker assicurativi attivino in maniera strutturata e professionale, la capacità di captare la domanda del cliente, la domanda profonda, offrendo strumenti concreti di risposta.

A mio avviso, oggi, di fronte a una fascia di referenti molto più preparati, consapevoli, attenti ai risvolti della problematica enorme legata alle catastrofi naturali, se non altro per le immagini con cui tv e rete inondano occhi e pensieri, è nostro dovere “sobillare” con la spinta gentile appunto richieste di polizze catastrofali.

L’invito, quindi, è ad assumerci come categoria quel ruolo per cui in alcune nazioni sono stati creati uffici specifici, “nudge oriented”, ovvero di orientare clienti e referenti verso l’assunzione in proprio della soluzione per i rischi legati ai catastrofali.

Le conseguenze

Naturalmente non possiamo “giocare” da soli.

Abbiamo bisogno da una parte di Compagnie più sensibili ad accettare e attivare richieste e soluzioni per i clienti, abbordabili e convenienti, ossia misurate sulle differenti capacità di spesa. Talvolta, ed è esperienza comune, giungono alle agenzie preventivi che ci “vergogniamo” a girare all’interessato.

Dall’altra, però, serve una collaborazione più consapevole tra operatori del settore, ovvero noi. Una collaborazione costante e dinamica, che si tesse attraverso incontri, convegni, scambi su riviste specializzate, blog, social network, ma che per essere effettiva e produttiva necessita d’essere tenuta a battesimo da un regista unico. Un ruolo, che mi sembra spetti naturalmente a chi sa fare scienza assicurativa. Ecco che una realtà come quella di UEA assume un significato persino più determinante che in passato, tenendo in equilibrio contenuto di sapere e pragmatismo dell’agire. Perché solo dove le idee sanno seminare gesti possiamo davvero dire che sono buone idee.

Un aiuto dall’alta finanza

Un valore, anche estrinseco, oggettivo, la polizza sui catastrofali ce l’ha. Lo dimostra con particolare acutezza il rinnovato interesse da parte del mercato finanziario nei confronti dei cat bond. Ed è proprio da qui che possiamo attenderci una spinta a “sensibilizzare” le Compagnie e farle scendere con maggior interesse nell’area non facile della diffusione capillare delle polizze sui catastrofali.

La storia dei Cat bond, abbreviazione di catastrophe bond, inizia nel 1992, quando Hurricane Andrew s’abbatte sulle coste degli Stati Uniti e delle Bahamas, provocando 65 morti. In quell’occasione nacque l’idea di “equilibrare” i pesi da parte delle compagnie specializzate in riassicurazione, emettendo delle obbligazioni (appunto cat bond) per condividere con il mercato il rischio del verificarsi di un evento naturale catastrofale.

Nel corso degli anni, al valore dei cat bond hanno cominciato ad interessarsi con sempre maggiore solerzia i Fondi di investimento, gli Hedge fund, ma anche fondi pensione, società di private banking e soggetti che gestiscono patrimoni.

La ragione?

Se è vero che si tratta di prodotti ad alto rischio (perché nel caso in cui l’uragano, l’alluvione o il terremoto accada, non solo si azzera la cedola del bond, ma, in taluni contratti, si annulla anche il capitale), sono gli unici oggi davvero indipendenti, per la loro natura, dall’andamento dei listini dei principali mercati mondiali.

In altre parole, a fronte di un rischio ampio legato ai fatti climatici globali, restano svincolati dalle congiunture politiche. E in tempi come i nostri, diventano una sorta di boccata d’aria pura per chi si scapicolla nelle stanze dei bottoni della somma finanza.

Questo elemento di appetibilità potrebbe incidere nell’incrementare l’interesse delle Compagnie a fornire modelli standard di polizze per eventi catastrofali a condizioni più agevoli per i singoli utenti. Utenti che vanno ricercati tra individui privati, ma soprattutto nel tessuto delle aziende, in quel comparto delle PMI italiane atterrite dall’idea di essere in balìa, oltre che di venti poco saldi (politici), anche di tifoni e uragani.

La strada è lunga, ma affascinante. E ci permetterà di fare.

Anna Fasoli
Vicepresidente Uea